VADEMECUM / Il ballo
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Avete presente certe telefonate?
-Ciao Carlo, sono Fabio... ti disturbo?
-Figurati... come stai?
-Bene... tu?
-Bene, bene...
-Bene...
-Dimmi...
-No, è che... stasera andiamo al cinema con Piera e ci chiedevamo se non v' andasse di aggiungervi a te e a Sandra
-Al cinema... potrebbe essere. Gliene parlerò, certo, volentieri
-Bene, sentila e poi fammi sapere...
-Certo...
-Allora, ci sentiamo dopo
-Bene
-Ciao
-Ciao
-A dopo
-A presto
-Ci sentiamo
-D'accordo
-Ciao
Dieci secondi di "succo" diluiti in quaranta di convenevoli. E se l' avvio della comunicazione è solo problematico, la conclusione sfocia addirittura nel surreale del "'ttacca tu", "no... 'ttacca tu".
Sull' invito c' è una pagina del vademecum a parte, così non starò qui ad infierire sulla convenzionalità e la risaputezza delle finte informazioni sul tempo, la salute reciproca e la collocazione della squadra del cuore nella classifica di campionato che sono spesso gli inevitabili ghirigori degli approcci; il tema di questa pagina è, invece il commiato.
Invitata una dama, cominciato il ballo... quando fermarsi? Chi è che decide di farlo? Lui... lei...? Alla fine del primo tango? Del secondo? Al sopraggiungere dello sfinimento? Si carica una sveglia su un orario a caso e... quando suona, suona, con lo squillo a interpretare il ruolo del gong degli incontri di boxe che impone di interrompere qualunque azione si stesse compiendo? Si aspetta che lei simuli un mal di testa? Lui lo svitamento di una protesi dell' anca? Si spera che ci sia un' irruzione di Polizia, la rottura di un tubo dell' acqua, un guasto all' impianto elettrico?
In questo frangente la "regola" intesa come sovrastruttura sociale che scavalca e prevarica l' analisi individuale, esplica tutta la sua potenza ed evidenzia tutta la sua utilità.
Com' è brutto sentirsi dire: "adesso, basta"; come può essere pesante doverlo dire.
Ma prima o poi può essere necessario che quelle due parole (o altre equivalenti) vengano pronunciate.
Bene, la "tanda" ci dà la possibilità di risolvere questo problema, definendo una regola, un punto "terzo" di riferimento che non è né la sensibilità dell' uno, né l' imbarazzo dell' altro, ma una condizione esterna a cui sottomettersi; qualcosa che, sovrastando il libero arbitrio dei due, determina una sospensione del giudizio, cosicché possano divincolarsi dall' abbraccio deresponsabilizzati e in piena innocenza e, all' affacciarsi d' un qualunque scrupolo in merito all' abbandono dell' altro possano dire, a sé stessi, con l' aria pensosa di chi si assolva per aver commesso un omicidio rituale: "Era scritto".
L' ospite sensibile, fingerà, al terzo giorno di permanenza, di avere impegni urgenti che lo reclamino altrove, evitando così di cominciare ad essere guardato storto dal padrone di casa e con un certo appetito dal gatto; il tanghéro di mondo, sa che ballerà con la stessa dama (la tanghéra di mondo sa che ballerà con lo stesso cavaliere) tre o quattro brani, poi tutto avrà termine, il divertimento o la tortura, la gioia o il dolore, la piacevolezza o la sgradevolezza.
Apparirà, ben evidente, la parola "Fine", scorreranno i titoli di coda, si accenderà la luce in sala e l' illusione, il sogno (o l' incubo) finiranno e se si vorrà continuare lo spettacolo, si entrerà in un altro cinema a vedere una pellicola diversa.
I brani che compongono la "tanda" sono tre o quattro -a seconda delle scelte del musicalizador- e sono omogenei per ritmo.
Ascolterete, alternate, tande di tango, di vals (in 3/4) e di milonga (ritmo sincopato).
Generalmente, l' omogeneità si estende anche agli autori e agli esecutori.
Ci saranno tande di D' Arienzo, poi di Pugliese, poi di Di Sarli, poi, magari, ancora di D' Arienzo, ma con registrazioni più recenti...
A segnare lo stacco tra una tanda e l' altra, in genere, c' è la "cortina", un brano intero (più spesso, un estratto) di un genere musicale che tango non è (e neanche vals o milonga) ma può essere jazz, lirica, hip-hop, salsa, pop... qualunque cosa possa evidenziare il passaggio da una tanda all' altra; un segnale immediatamente riconoscibile.
Il ballo è un' ipnosi; la cortina, lo schiocco delle dita del mago che ci risveglia.
Alla fine di una tanda, si suppone che la coppia che si è formata, si sciolga.
L' uomo riaccompagna la donna al tavolo, al bar... dovunque l' abbia incontrata o dove la donna manifesti di voler andare, senza appiopparlesi a tutti i costi, ma anche senza mollarla in pista, come un ombrello sull' autobus.
Nell' ottica dell' elasticità dell' approccio alle regole, a cui facevo riferimento nella pagina dedicato all' invito, volendo ballare ancora con qualcuno con cui ci si sia trovati particolarmente in sintonia, si può sempre chiedere di ballare anche il gruppo di brani seguenti, va però detto, che, così facendo, intanto si privano gli altri ballerini della possibilità di scoprire se non riescano a godere anche loro della stessa piacevolezza (possibilità legittima, ma, certo, non il massimo del tatto) e poi, soprattutto, così facendo si ritorna di colpo nell' ambito dei potenziali imbarazzi.
Niente di grave, certamente... ma mettetelo nel conto.
Insomma, avere un limite che impedisca di continuare a ballare a oltranza, è già molto utile, non va però dimenticato che la tanda non solo finisce, ma comincia pure e, quindi, una possibilità ulteriore di ritagliare su misura la dimensione nel nostro impegno è data dalla scelta del momento dell' ingresso in pista.
Ci vuole un po' di tempo per aver modo di interpretare i dettagli del codice altrui e godere dell' intesa raggiunta, ma volendo sperimentare una possibilità di conoscenza, senza condannarsi a dieci minuti di possibile martirio, piuttosto che mollare il compagno o la compagna alla fine del primo o del secondo brano -concedendo appena un "Grazie" che ha tutta la tenerezza di un bacio nel Getsèmani- sarà preferibile inserirsi a tanda già avviata, cominciando a ballare all' inizio del secondo o del terzo.
Tecnica più facile per l' uomo, che invita, non impossibile anche per una donna che, per perdere il tempo che non voglia concedere al suo ancora sconosciuto cavaliere, può sempre manifestare la voglia di finire il suo Long drink -strategicamente lasciato a metà, a portata di mano- o trovare da eccepire sull' allacciatura della sua stessa scarpa, mettendosi a sganciare e riagganciare compulsivamente la fibbia finché il risultato non la soddisfi e, soprattutto, non siano passati i tre o sei minuti della sua angoscia.